Goffredo Fofi è stata una persona importante per Codici, ci ha guardato crescere e ci è stato accanto in diversi momenti, per alcune e per alcuni di noi anche personali. Pensiamo sia stato un privilegio ricevere la sua amicizia e il suo affetto. In questo articolo Lorenzo Scalchi e Stefano Laffi lo ricordano per ciò che è stato per codici e per ciò che è stato per loro.
« In questi giorni ho riletto alcune delle tante mail tra me e Goffredo. Sentivo il bisogno di ritrovare le sue parole. Riguardano gli ultimi dodici anni: un periodo intensissimo, durante il quale è accaduto molto della mia vita. Avevo poco più di 24 anni quando ci siamo incontrati per la prima volta, a Casal di Principe.
Hanno tutte un incipit simile: “Vieni a Roma, ti aspetto a braccia aperte”. Oppure: “Vabbè, ho capito, verrò io… mi troverai nella stazione di Padova tra qualche giorno” (o Mestre, Torino, Aversa, Napoli, Bologna, erano quelle che insieme abbiamo più frequentato).
Goffredo mi ha fatto conoscere i caffè delle stazioni. Roma Termini è di sicuro il luogo in cui ci siamo trovati più spesso. Il rituale di accoglienza era sempre quello: una (assolutamente non) leggera pacca col suo bastone – un’esortazione euforica a essere sempre ottimista critico – e un invito a vedere un film al cinema o a casa, da lui, in zona piazza Vittorio.
Di Roma era innamorato delle passeggiate al mattino presto, in cui spesso era solito – se ero con lui – farmi vedere i vari strati architettonici su cui erano costruiti gli edifici di Roma. Case sopra chiese, sopra mura, sopra teatri.
Ero curioso di conoscere i tanti strati della sua vita, ma spesso preferiva tralasciare, piuttosto coglieva l’occasione per consigliarmi un libro da leggere o un film essenziale (come li amava definire).
Da lui ho ricevuto tanti contatti, tantissimi. Era così Goffredo, ti incitava a entrare nel campo da gioco delle esperienze. Lo faceva con energia, accoglienza e tanta generosità. Ma poi non ti diceva come giocare. A lui bastava che ci fossi, e che giocassi a modo tuo. Unica regola: non diventare narcisista o autoreferenziale. Questo lo faceva arrabbiare e questo il mio carattere riservato lo ha sempre apprezzato.
Di tutti i contatti ricevuti, anche quello di Codici. Di tutte le stazioni visitate, Milano Centrale. E lì, a Codici e a Milano, ci sono rimasto. Ci aveva visto bene. Ci aveva azzeccato anche questa volta.»
Lorenzo Scalchi
«Avevo poco più di vent’anni, organizzavo con amici e amiche rassegne cinematografiche in Università. In quella sull’Italia del boom economico invitammo anche lui. Erano gli anni ’80, era Milano, era l’università Bocconi, fu lui, per me e per molte altre persone, l’antidoto per uscire vivi da quel periodo, il senso critico in purezza. Ma, in un mondo prima di internet, Goffredo era anche l’enciclopedia del presente e del passato prossimo. Aveva visto tutto il cinema, aveva letto tutta la letteratura, aveva sfogliato tutti i fumetti, ascoltarlo voleva dire prendere sempre appunti.
In quell’incontro mi colpì subito una cosa: per lui l’invito era l’alibi, in realtà voleva conoscerci. Cioè gli interessavano le persone, gli incontri, le relazioni umane, non le relazioni verbali che poi avrebbe tenuto. In sostanza scommetteva in un’Italia non visibile, fatta di focolai sparsi e sotterranei, cioè di gruppi di persone animate da un senso critico verso il presente, che avrebbe scoperto perché si sarebbero messi in contatto con lui, o di cui avrebbe notato i segnali di fumo. Ha girato l’Italia e non solo l’Italia incessantemente per questo, ha fondato così tante riviste per questo: censire, dare visibilità e far conoscere le une con le altre minoranze e singole persone più o meno isolate nel modo di guardare il mondo, e non contente dello spettacolo.
Il fatto che gli interessassero le persone si capiva dal suo modo di abbracciarti, dal condividere tutto: con Goffredo non c’erano alberghi, c’erano solo case, semplici ma ospitalissime, in tantissime e in tantissimi siamo state e stati a casa sua a dormire, a cenare, a fare infinite chiacchierate. Ricorderò tutta la vita i risvegli a casa sua, a Roma, ascoltando col caffè in mano i suoi racconti su Pasolini, Calvino, Morante, Godard o Bunuel come persone, non come artiste e artisti, perché lui aveva conosciuto tutto ciò che io invece avevo solo letto o visto al cinema. Ma un attimo dopo si parlava di amicizie o di scuola, era sempre attento anche alle fatiche personali, alle piccole cose della vita.
Goffredo scommetteva sulle persone più giovani, aveva un radar special per i divergent e dava loro casa, ti portava a immaginare quello che non osavi fare, e ti trovava l’editore con cui esordire, il produttore con fare l’opera prima, la persona con cui collaborare. Era generosissimo ma anche severo, appena vedeva scivolare nel narcisismo o nella venalità scattava una sorta di scomunica.
Goffredo mi ha regalato una prospettiva da cui guardare il mondo, ma non solo: se ho scritto libri, collaborato a film e creato Codici vent’anni fa con tre amici è grazie a lui, sentivo che lui ci credeva, e mi voleva bene per quello che stavo facendo. E a tutta Codici Goffredo voleva bene, lo sapevamo, lo sentivamo e ce l’ha anche scritto. È un privilegio essere stati circondati dal suo affetto.»
Stefano Laffi
Foto ☉☉ seme di Euphorbia peplus al microscopio, Sylwiaxak, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons