Fin da quando è iniziata la quarantena, ci siamo chiesti quale pensiero potesse avere Codici su quello che sta succedendo. Abbiamo iniziato a condividere racconti della nostra dimensione più privata. Tutte e tutti a Codici, stiamo vivendo condizioni molto diverse e abbiamo sensibilità differenti. Tra noi c’è chi trascorre la quarantena in solitaria, chi con il proprio o la propria partner e chi con uno o più bambini piccoli. Sono vite, tempi, spazi e bisogni, quelli dei bambini e delle bambine, in cui è arrivata la notizia del virus e le conseguenze delle misure di quarantena e distanziamento, che si intrecciano alle vite, ai tempi e ai bisogni delle loro genitori. Le storie che seguono ci raccontano cosa si vede da lì, dentro case attraversate da stupori e paure, giochi e scoperte, porte che si vorrebbe poter chiudere e tempo ristretto o ritrovato.
I racconti hanno mosso i loro passi a partire da alcuni interrogativi che la redazione della rivista codici404 ha voluto porre per stimolare il pensiero e accompagnare la scrittura di chi ha voluto raccontarsi. Si è chiesto di descrivere sé e la propria famiglia, di pensare agli aspetti positivi e negativi di questo periodo trascorso in quarantena, di raccontare aneddoti legati alle parole tempo, silenzio, spazio, cambiamento, paura, di dirci di qualcosa che i propri figli e le proprie figlie hanno imparato. Di parlare di sé come genitore e come socio/a di Codici, di raccontarci su quali risorse si fa affidamento e di cosa, invece, si avrebbe bisogno, per affrontare questi tempi inaspettati.
La fattoria, il sogno più facile da realizzare
Laura Boschetti
A casa siamo io Dani e Giulia, che ha tre anni e nella vita sogna di andare a scuola. Ha passato tutto l’inverno e la primavera scorsi aggrappata ai cancelli delle scuole o degli asili che vedevamo per strada, piangendo e chiedendomi di entrare. Ora che finalmente ci poteva andare, ha dovuto ricominciare a sognare.
Daniele è il mio compagno e il papà di Giulia. In questo periodo il posto in cui lavora è chiuso e lui è a casa con noi. In ferie, in congedo straordinario o in cassa integrazione, non lo sappiamo.
Io continuo a lavorare. Per fortuna, per necessità, perché non sappiamo quanto durerà.
Viviamo in una casa di 60 metri quadri, con tanti difetti, ma con un giardino. Ci assicura ossigeno e vitamina d ed è anche l’unica finestra sul mondo.
In questi 60 metri quadri mangiamo, dormiamo, giochiamo, leggiamo, ascoltiamo nostro malgrado le vite degli altri. La convivenza forzata in questo spazio ci ha aiutato a riscoprire che insieme possiamo fare tante cose, non più schiacciate dentro mille impegni, ma solo per il gusto di farlo, di passare del tempo insieme. Cucinare, leggere, giocare a carte diventano un piacere di per sé che si espande, senza essere limitato dal tempo.
Però quel tempo diventa anche forzatamente promiscuo, perché non vi è più alcuna separazione tra i tempi di vita, di cura, di lavoro, per se stessi. Quando fai tutto insieme non fai niente bene e ti innervosisci. Non è tanto il lavoro il problema. Tre anni e mezzo di mamma e sono rodata a lavorare a letto con Giulia che ha la febbre, sulla panchina del parco mentre aspetto di andare a prenderla, in auto, al centro commerciale, alle cinque del mattino. Ma se fai tante cose insieme o hai troppe cose a cui pensare e non hai il tempo e lo spazio per separare quei pensieri, sei distratto e questo una bambina lo percepisce. E fa di tutto per attirare la tua attenzione. Come lo fa è una cosa che fa male a te, ma ancora prima fa male a lei, che non ha nessuna colpa se un virus ci tiene chiusi in casa.
Poi arriva la tecnologia, quella che per tre anni hai tenuto fuori dalla porta, spegnendo la tv e provando a dosare tablet e cellulari e che ora è diventata una finestra sul mondo. Allora video letture, audiolibri, ebook, applicazioni, mail e messaggi che segnalano attività da fare, videochiamate. Tutto questo non l’avrei scelto, in un’altra situazione. Ho dovuto spiegare perché le spade, le principesse, la violenza che permea ogni prodotto per bambini. Ho dovuto spiegare anche quello che vede dal giardino, le urla, le sgridate, le sculacciate dei genitori agli altri bambini. Se serve un villaggio per crescere un bambino, è meglio che mi trasferisca.
A casa giochiamo insieme: carte, puzzle, memory, leggiamo. E facciamo finta. Il gioco simbolico va per la maggiore. Andiamo in piscina e ci tuffiamo sul divano. Mettiamo a letto fratelli e fratelle. Portiamo Giulia a scuola, che poi si ferma da Mariella, l’attività extrascolastica che voleva frequentare e a cui per fortuna non l’avevamo ancora iscritta. Siamo Elsa o Anna e ghiacciamo tutto o cerchiamo le tradizioni del Natale. Aurora si punge col fuso e urla dal letto chiamando Filippo, che è in soggiorno. Filippo, impersonato dal papà, però è suo fratello. Il virus è fuori e dentro scacciamo la paura sconfiggendo la strega del nord, che si scioglie sul pavimento. Ed è una medicina che fa bene a tutta la famiglia.
Allora, se come la nonna di Cenerentola, avessi anche io una bacchetta magica, adesso vorrei una fattoria. Capre, ma non caproni e pecore senza pecoroni; galli e galline, ma i tacchini no, perché mi fanno un po’ impressione; pony; cavalli; asinelli. E un grande orto dove piantare quello che ci pare e realizzare almeno uno dei sogni di Giulia. Paradossalmente, tra andare a scuola e vedere le amiche, la fattoria mi sembra il sogno più facile da realizzare.
Non so cosa regalerei a qualcun altro, perché di soluzioni non ce ne sono. C’è solo tanta empatia, per le difficoltà di tutti.
Alla me stessa che lavora regalerei ore in più al giorno solo per me, perché mi piace il mio lavoro e mi manca godermelo a fondo, mi manca poterlo fare con la musica nelle orecchie e trasformarlo in tempo di cura per me stessa. E pure in tutta questa fatica, regalerei agli altri una mia grande fortuna, ovvero quella di poter lavorare alla mia velocità, forte, piano, con le emozioni in sordina oppure con il cuore che batte forte. E colleghi come i miei, attenti alle tue esigenze, che salutano la tua bimba che fa capolino nella videocamera e salta sul letto mentre dovresti lavorare.
Perché ormai Giulia le call e le videoconferenze le fa con me, come se fossero un appuntamento nella sua giornata. Mi chiede chi c’è, riconosce i colleghi al computer, racconta la sua vita molto più di quanto fa con i nonni o gli amichetti su WhatsApp. Impara che si può lavorare, curare, pulire, amare, essere tante cose contemporaneamente e che, anche se con tanta fatica, sono tutte cose importanti.
Foto ☉☉Quarzo – Primary Mineral – Smithsonian Open Access
Pirite, Grafite, Marcasite, Calcite, Aragonite e Quarzo sono alcuni tra i minerali accomunati dalla stessa origine: il polimorfismo ricostruttivo. È la reazione che permette la riorganizzazione praticamente completa della struttura cristallina. Questo tipo di trasformazione richiede una grande quantità di energia, non è facilmente reversibile ed è piuttosto lenta. Una metafora di quello che stiamo percependo in questi giorni.
Le immagini vengo dalla Smithsonian Open Access che un mese fa ha resto disponibili 2,8 milioni di immagini e dati in CC0.
Ricerca immagini a cura di Camilla Pin Montagnana