Il punto di vista de Le case dei poveri di Antonio Tosi è chiaro, esplicito e dichiarato: cosa sta succedendo alle condizioni abitative delle famiglie e delle persone che vivono in povertà? Quale relazione sussiste tra povertà e casa? Quali elementi di novità emergono nel nuovo quadro? Chi sono i profili più esposti al processo di marginalità?
Una lettura preziosa, che riporta la questione abitativa al centro del dibattito sulla povertà, in un contesto, quello Italiano, in cui la casa rimane un elemento marginale, se non assente, nel dibattito pubblico, a scapito di una crescita costante della popolazione in povertà assoluta e relativa – circa 5 milioni di abitanti secondo l’ultima indagine ISTAT. Una casa che sembra ormai appannaggio unicamente di politiche di supporto alle classi medie in crisi, in cui ‘l’asticella del sociale’ si è spostata sempre più verso l’alto, dimenticandosi paradossalmente proprio quelle popolazioni più vulnerabili rispetto all’accesso ad un’abitazione sicura. Per questo è bene tenere nella mente l’Italia di oggi, leggendo questo libro, perché attraverso la casa ci permette di costruire una mappa per interpretare la povertà contemporanea e il suo rapporto con le politiche e con la città. Un testo che cerca di fare sintesi, in 180 pagine, di una conoscenza complessa e sfaccettata della povertà abitativa che passa dai processi di trasformazione del welfare europeo, ai fattori storici di debolezza delle politiche per la casa in Italia, soffermandosi infine sui nuovi profili delle povertà abitative contemporanee. In questa complessità credo che sia fondamentale soffermarsi su alcuni elementi peculiari del pensiero racchiuso in queste pagine: la necessità di rimettere a fuoco un vocabolario esplicito per la lettura delle politiche abitative; la ripresa di un filone storico di politiche ‘contro’ e non ‘a favore di’ nel panorama politico europeo e italiano; una relazione ancora non risolta tra le politiche urbane e le politiche per la casa.
E’ attraverso queste lenti che proverò a raccontare la novità di questo scritto, che non è soltanto (e già sarebbe molto) la sintesi di un lungo percorso accademico ma una riflessione fortemente radicata nelle questioni sociali del nostro paese, di lungo corso.
Ritrovare le parole.
Come si fa a pensare ad un welfare abitativo rinnovato, in un sistema di politiche che ha costruito – più o meno intenzionalmente – confusione intorno alle parole che costruiscono le stesse politiche? I primi capitoli di questo libro sembrano dirci che nel lessico delle politiche si è persa la relazione tra significato e significante, in un processo in cui, ad esempio, il termine ‘sociale’ ha assunto estensioni poco chiare e confondenti rispetto agli obiettivi delle politiche abitative. Dall’introduzione de ‘Le casa dei poveri’ è chiaro come uno degli scopi a cui l’autore mira è quello di offrire un quadro definitorio chiaro, per certi versi puntiglioso, ma necessario in un contesto in cui le politiche sulla casa hanno storicamente avuto un ruolo marginale, confondendo e dissimulando, anche spietatamente, i propri obiettivi, target e retoriche. Questo aspetto è importante nella prospettiva assunta dal libro perché, come ci ricorda Tosi, ‘in quanto analisi delle politiche, il gioco delle designazioni finisce per essere al centro delle argomentazioni’.
Un breve glossario di termini apre il libro e prova a ricostruire, a partire dalle parole, quelli che avrebbero dovuto essere i bersagli (mancati) delle politiche abitative in Italia: povertà abitativa, esclusione abitativa, marginalità socio-abitativa, homeless; ma anche quei termini che danno significato alle politiche: sociale, molto sociale, misure ad hoc, ecc… Termini che, nella prassi del linguaggio delle politiche, finiscono per diventare sinonimi in un quadro che vede una tradizione di politiche abitative sociali deboli. Tosi mostra come l’orientamento delle politiche per la casa Italia, costruito anche attraverso il linguaggio, favorisca processi di inclusione dei segmenti intermedi della domanda, a scapito dei profili più problematici, sempre più indirizzati verso ‘misure ad hoc’ spesso di natura transitoria. Una scelta questa che risiede nell’ambiguità ideologica di concepire il percorso abitativo come un processo ascendente sino all’autonomia, in una prospettiva di inserimento e raramente di stabilizzazione. Un’ascesa che è certamente un’aspirazione, ma non può essere un assunto su cui costruire politiche efficaci che rischiano altrimenti di determinare solo percorsi a intermittenza. Compito delle politiche sarebbe quello, piuttosto, di prevedere delle azioni per il dopo, per chi rimane, per chi non si integra o non raggiunge mai una completa autonomia. Con estrema umanità, benché con un linguaggio tecnico e rigoroso, Tosi ribadisce ancora una volta che un modello welfaristico inclusivo deve educare alle differenze e non al giudizio.
Una puntualizzazione che non è scontata davanti all’aumentare, in questi anni, delle forme di marginalità sociale che sempre più spesso si caratterizza per una tendenza alla permanenza della situazione di fragilità, incrociandosi con l’esclusione abitativa: una di indisponibilità di una casa vera e propria e la tendenza alla permanenza indeterminata nella condizione precaria. In questo quadro complesso, un linguaggio preciso per le politiche permette di articolare e nominare percorsi e interventi differenti in relazione ai diversi gradi di severità della povertà abitativa.
Politiche contro.
I due capitoli conclusivi del libro, Tosi li dedica alle persone, ai profili della povertà abitativa più estrema, gli homeless e, in una prospettiva differente, gli immigrati. Due popolazioni sempre più spesso coincidenti per cui, in Italia, nonostante alcuni progetti coraggiosi, si stanno determinando processi di ‘intrappolamento’ nella condizione di esclusione. In particolare il testo ci consegna una riflessione particolarmente attuale sulla popolazione straniera, per cui il rischio abitativo è aumentato in tutta Europa per il convergere di alcuni fattori: dalla crisi economica, che ha portato ad una riduzione delle opportunità economiche e di impiego per i lavoratori non qualificati, al cambiamento della popolazione immigrata, a cui si sono aggiunte nuove figure deboli nell’assoluta inadeguatezza, se non mancanza, di sistemi di protezione dedicata.
In italia è aumentato il numero dei senza dimora che, secondo delle stime al ribasso, ha ormai superato le 50.000 persone. Ma anche quando si guarda agli esclusi è bene guardare alle differenze, all’eterogeneità di questo fenomeno, dal rough sleeping, alla rooflessness, alla hidden homeless (la coabitazione forzata, gli insediamenti informali e le forme di occupazione di edifici abbandonati, la presenza in strutture di assistenza temporanee). Se le stime ci dicono che l’1% degli immigrati vive in una condizione di rooflessness, circa il 20% dell’intera popolazione immigrata in Italia si trova in una condizione abitativa di homelessness nascosta. Una fotografia che registra il peso sempre maggiore dei fattori di irregolarità nel determinare le condizioni di marginalità abitativa.
Con il termine destitution si rappresenta il nuovo paradigma che descrive l’inserimento abitativo degli immigrati. È un termine, è entrato a tutti gli effetti nel dibattito europeo, che richiama, come definito da Kessler e Schopf in Living in Limbo. Forced Migrants Destitution in Europe (2010) la “mancanza dei mezzi per soddisfare i bisogni di base – quali casa, cibo, salute o istruzione – come conseguenza di una politica dello Stato che esclude certi migranti dal godimento di diritti fondamentali e dalle forme ufficiali di assistenza o limita severamente il loro accesso a tale sussistenza e, nello stesso tempo, li priva di ogni effettiva possibilità di migliorare la situazione”. Politiche pubbliche, dunque, che sottraggono ad alcune persone le possibilità di sostentamento e limitano severamente, escludendole dall’accesso alle risorse disponibili per il resto della popolazione, la possibilità di uscire da una condizione di esclusione o deprivazione. Un circolo vizioso che sembra destinare in particolare gli stranieri in una permanente posizione di marginalità. Antonio Tosi richiama nel libro immigrati irregolari, richiedenti asilo e rifugiati, ma anche particolari categorie stigmatizzate dall’atteggiamento delle politiche. Figure della contemporaneità che sono una manifestazione esemplare del rapporto circolare tra politiche ed esclusione costruito sul teorema che la negazione dei diritti faciliti l’allontanamento delle popolazioni non gradite dal territorio. Una ideologia che si è dimostrata ciclicamente capace solo, al contrario, di spingere famiglie e persone fragili in percorsi di illegalità, negando le tensioni universalistiche dei sistemi di Welfare. Politiche contro, che colpiscono richiedenti asilo, rifugiati, diniegati, stranieri con e senza permesso di soggiorno. Situazioni certamente diverse che l’autore ci racconta convergere verso percorsi abitativi simili: situazioni di marginalità sociale che si traducono, dal punto di vista abitativo, in homelessness e sistemazioni informali, per la maggior parte occupazioni abusive.
Città esclusive.
In conclusione, quello di Tosi sembra un invito anche a soffermarsi sul valore della riflessione sulla casa per le nostre città e per le discipline che di abitare si occupano. Le politiche abitative offrono una prospettiva cruciale per guardare alla città contemporanea, un contraltare alle retoriche sviluppate dalle politiche urbane nell’ultimo decennio, in cui il tema della povertà è stato nei fatti rimosso. Un processo che sta determinando una forma di esclusione selettiva dalla città, rafforzato dalle deformazioni introdotte dall’avvento di logiche di controllo nuove e dalla preoccupazione per forme distorte di sicurezza, spesso declinata in termini di decoro urbano. Se è pur vero che questo atteggiamento è da sempre al centro delle politiche urbane, è anche vero che l’orientamento neoliberale contemporaneo ne ha accentuato il grado selettivo. La casa è, in questo senso, l’oggetto centrale su cui avviene oggi la selezione tra chi può stare e chi no. ‘Le case dei poveri’ ha il merito di sospendere parzialmente il giudizio, per avventurarsi nel merito delle ‘invenzioni sociali’ sperimentate dalle politiche neoliberali della casa e della specifica costruzione del concetto di sociale abitativo introdotto. Ci illustra infatti come nelle nuove politiche abitative il termine sociale abbia subito una trasformazione consistente: sempre più attribuito al segmento medio della domanda ha contribuito a rafforzare i processi di marginalizzazione abitativa delle popolazioni povere soprattutto nei grandi centri. Una analisi che permette di comprendere come le politiche neo-liberali costituiscano per le città un impianto ideologico utile alla costruzione di politiche fortemente selettive, in cui il principio di ‘selettività’, in un campo di estrema esiguità di risorse, entra in conflitto con il principio di ‘equità’.
Una lettura quella di Tosi che che può aiutare a svelare alcune retoriche che hanno occupato il dibattito di questi anni, dall’housing sociale al tema della mixitè, rimettendo a fuoco il rapporto simbiotico tra politiche abitative e politiche di trasformazione urbana. Due corpi di politiche che, seppur irrelati, richiamano piani e obiettivi differenti – non escludenti certo – che vanno riconosciuti anche nella loro autonomia. L’ambiguità critica in cui le nuove politiche di rigenerazione urbana si stanno muovendo nei confronti delle politiche abitative, rischia in tal senso di aprire un nuovo fraintendimento nel discorso pubblico. A questo l’autore risponde con quattro linee per la (ri)costruzione di un welfare abitativo, di cui in questo periodo si sente la mancanza: rafforzare le politiche generali per l’affitto, ridistribuire la socialità delle politiche, costruire un sistema di risposte per il disagio estremo. Politiche queste che guardano innanzitutto ai profili della domanda reale, alle storie ‘in cerca di casa’.
Chi rimane fuori? Le politiche abitative come specchio della città.
di Jacopo Lareno Faccini uscito su (ibidem) Planum readings n.10, vol.2/2018